Comincio col precisare che questo articolo riguarda solo una fetta degli imprenditori italiani, dalle mie parti probabilmente in notevole minoranza, e cioè quelli che fatturano più di due milioni di euro (anche se ci sono pressioni politiche in corso affinché questo limite si riduca ad un solo milione di euro) e che sono iscritti al registro delle imprese da almeno due anni.
Di che si tratta? In un’epoca di like e di recensioni su hotel e ristoranti, non poteva mancare un sistema di recensione del livello di affidabilità, misurata appunto dal rating di legalità, dell’azienda.
Ma chi stabilisce se l’azienda (impresa individuale o soggetto collettivo) ha diritto ad avere una, due o tre stelle, con i relativi gradi intermedi rappresentati con dei “+”? L’A.G.C.M., cioè l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato su istanza dell’impresa stessa.
Non è questa la sede più opportuna, né ci sarebbe lo spazio, per approfondire come si fa ad ottenere “stelle” e “più” e su cosa si basano. Segnalo comunque che si tratta di uno strumento utilissimo per avere punteggi migliori in gare d’appalto, nella partecipazione a finanziamenti pubblici (con la possibilità che vengano addirittura riservate quote di finanziamento da destinare in base a specifici rating) ma anche per presentarsi meglio agli istituti di credito e così poter più agevolmente accedere al credito e a condizioni migliori.
Pensate che Banca d’Italia vigila sul comportamento degli istituti di credito nel trattamento del rating di legalità, arrivando a chiedere spiegazioni formali nel caso in cui qualche istituto mostri di non averne tenuto conto.
In conclusione, un consiglio: se siete imprenditori con i requisiti citati sopra, chiedete ai vostri professionisti di approfondire il tema e, una volta ottenuto il rating, non dimenticate di renderlo noto all’esterno e di comunicarlo ad ogni occasione utile.